Ecco la seconda parte della lettera di Giulia Andretta. Se non avete letto la parte uno, cliccate qui prima di leggere ciò che segue.
Il corpo incominciava a dare i primi segnali di cedimento: le mie ossa potevano contarsi, il mio cuore batteva debole e a singhiozzi, i muscoli delle gambe avevano crampi con dolori lancinanti, quando facevo le scale di casa avevo la sensazione di spaccarmi in mille piccoli pezzi. Ma soprattutto la cosa più terribile e difficile da accettare era quel freddo, che mi penetrava dall’epidermide fino in fondo alle ossa. Tremavo nella piena afa di luglio e il tremore non mi dava tregua. Gli altri in canotta e io con il maglione addosso. Per non parlare dei crampi. Mi assalivano di notte per la fame piegandomi in due, mi rigiravo continuamente nel letto pregando che fosse subito mattina. Avevo paura di morire e di non riuscire a svegliarmi più. Stavo male perché non avevo nemmeno la forza di alzare un braccio o di fare giro in bici, ma nonostante questo non cedevo. Perfino di notte la malattia non dava pace. Sognavo cibo: piatti di pasta, dolci, pezzi di pane, cascate di cioccolato… a volte mi svegliavo di soprassalto in ansia per questi incubi.
Chi mi ha costretto a tutto ciò? Dovevo arrivare fino a questo punto, per far capire agli altri il dolore che provavo?
C’è sempre un motivo per tutte le cose, anche per quelle sbagliate e l’anoressia è stato il mio sbaglio più grande.
È in quel momento che ho detto basta! Era l’estate del 2012, avevo 22 anni e, finalmente, mi resi conto che così non potevo andare avanti. Avrei dovuto scegliere: o vivere o morire.
Vedevo che gli altri miei coetanei avevano una vita (lavoravano, studiavano, si divertivano, avevano un fidanzato, avevano degli amici). Io nulla di tutto questo: avevo solo la malattia. Quello è stato il momento in cui decisi DAVVERO di scegliere tra la vita e la morte. Sapevo che alla morte ci ero vicina, ma la vita dov’era?
Sono stata quindi seguita da uno psicologo per fare un profondo lavoro interiore su me stessa, da una nutrizionista per imparare un nuovo approccio con il cibo e da un psichiatra perché soffrivo di ansia e depressione. È stato un percorso duro e faticoso e spesso ho dovuto anche cambiare terapeuta, perché sentivo che il suo approccio non era più adeguato alla mia situazione. Ma non mi sono mai persa. Sono stata anche aiutata dall’associazione di volontariato Erika Forever di Sacile (PN), che mi ha permesso di tornare ad avere delle relazioni sociali e farmi capire che io non ero la malattia, ma una persona con grandi risorse. (Quest’associazione è nata in memoria di Erika Cao morta a 17 anni in un incidente stradale, che soffriva di anoressia. Da dieci anni la mamma di Erika si occupa di aiutare ragazze con disturbi alimentari e disagi sociali con momenti di aggregazione e socializzazione).
Nonostante le difficoltà e le ricadute, ho lottato duramente e a 24 anni ne sono uscita vittoriosa. Ora mi occupo in prima persona di testimoniare i disturbi alimentari, con conferenze presso scuole e comuni (voglio far capire alla gente che i disturbi alimentari non sono capricci ma vere e proprie patologie che possono portare anche alla morte) e ho aperto una sportello dell’associazione Erika Forever nel mio paese, mettendo a servizio la mia esperienza.
Nel dicembre del 2012 ho scritto il mio primo libro dal titolo ‘In cammino verso il sole’, in cui racconto la storia del mio disturbo alimentare, la lotta con il cibo, i diari giornalieri dei due ricoveri che ho avuto in clinica e il percorso che ho intrapreso per rinascere dalla malattia. Quest’anno ho scritto anche il seguito, dal titolo ‘Amore chiama luce’, in cui racconto l’incontro con l’associazione e ciò che la mia vita mi ha donato.
Inoltre ho intrapreso un corso e sono diventata coach (motivatore) e counselor (professionista esperto nella relazione di aiuto), nell’intento di aiutare le persone a raggiungere i propri obiettivi e aumentare l’autostima“.
Qua sotto alcune frasi tratte dal libro di Giulia:
“L’anoressia è qualcosa che affiora dalle profonde radici dell’anima e s’insinua in te, lasciandoti sprofondare in un tunnel tenebroso senza via d’uscita. È qualcosa che nasce dentro di te per esprimere il dolore e la sofferenza di un’anima triste e in pena. Forse questa storia non importa a nessuno. Forse nemmeno potete immaginare l’inferno che ho passato, ma non sono l’unica. Ci sono tante persone che purtroppo soffrono come me e si trovano in mezzo a voi ma spesso nella nostra società non trovano comprensione e aiuto perché la gente non capisce che non è un capriccio ma è una vera malattia, di cui si può anche morire. E non è una malattia che si guarisce da un giorno all’altro prendendo una pastiglia.”
“Tutto ha inizio con un semplice pensiero di tre parole: “non mangio più”, tre parole banali ma ricche di significato con cui comincia una lotta compiuta con te stessa ma in realtà contro te stessa.”
“Andare alle superiori è stato un grande cambiamento nella mia vita: più responsabilità, più indipendenza eppure io non ero pronta ad affrontare tutto ciò e mi spaventava molto. Ma soprattutto conoscere nuove persone, nuovi professori, nuovo ambiente, tante materie da studiare, tutto nuovo e così spaventoso ai miei occhi. Non ero forse pronta a questo nuovo periodo di vita? Gli altri tutti così sicuri di sé, felici ma io non ero per niente così. Cominciavo a odiare il mio corpo. Ero troppo bassa appena un 1,50, troppo bambina, incominciai a non piacermi più seppure fossi snella… “
“Eppure dentro di me è successo qualcosa, qualcosa che non doveva succedere. Avevo trovato il vero motivo per il cambiamento. Dovevo essere forte, dovevo essere determinata. Cosa è successo? Cosa esattamente? Neanch’io saprei dirlo. Volevo avere un nuovo riflesso, basta alla vecchia me stessa! Non volevo essere mediocre, normale, bensì speciale perché nessuno si era accorto di me e di quanto stessi male. Sapevo che sarebbe stato difficile, avrei dovuto mettere in gioco tutto e riuscire a controllarlo. Ora capivo. Finalmente comprendevo in pieno qualcosa di cui per un po’ di tempo ero stata cosciente solo a metà. Io stessa dovevo essere il terreno, sul quale poggiare i piedi. Non c’era nessun altro.”
“Camminavo sul filo di un rasoio ma sapevo quel che volevo: diventare perfetta a qualunque prezzo per raggiungere la felicità che non ho mai avuto. Percorrendo l’unica via possibile. Dovevo controllare quei numeri: bilancia e calorie. Le mie alleate, le mie braccia alle quali aggrapparmi.”
“Pesavo 37 kg, e in poco tempo arrivai alla soglia di 35,0 kg. Avevo toccato il fondo! Anche se in realtà non mi sentivo abbastanza malata e mi vedevo ancora una balena. Ogni volta che avevo davanti ai miei occhi del cibo, anche una foglia di insalata sentivo che nella mia testa ripiombava sempre la stessa frase “Se mangi ingrassi. Pensa alle calorie…” Per me non era ancora abbastanza quel peso, sapevo che potevo fare di meglio.”
“Con la clinica Dca insieme ai miei genitori fu definita un’unica soluzione: il ricovero in clinica! Non ci avevo mai pensato seriamente prima. Non volevo pensarci, non mi sentivo che questa problema mi aveva veramente messo il bastone tra le ruote. Pensavo di poter continuare a fare una vita “normale” nonostante ciò ma ovviamente mi illudevo. La malattia mi illudeva tante cose che finora però non avevo raggiunto.”
“Ma volevo veramente andare lì dentro? Volevo davvero lasciare tutto e tutti per andare in quel posto per 3 lunghi mesi distante da famiglia, casa, dal mio cane, ma anche dai quei pochi amici e da quel ragazzo che avevo? Lo volevo veramente? Ne era proprio il caso? Si forse, solo allora mi avrei definito veramente anoressica se fossi stata ricoverata in un’apposita struttura. Prima non ne ero proprio sicura al 100 %.”
“Per me il controllo sul cibo fatto da schemi e rigidità era un modo per sentirmi sicura e tenere l’ansia per non dovere pensare a quel dolore interiore. Quante volte ho pianto e mi sono disperata per il cibo. Non puoi perché la tua vita è costellata da doveri e rituali. Ti odi a tal punto da non capire più chi sei tu, pensi che la magrezza sia l’unica soluzione a tutto. E ti illudi e entri in un circolo vizioso di numeri, in cui meno pesi, più vali”
“Quando sei nella malattia è normale dire che è impossibile guarire, che è troppo difficile, che non ci riesci. Intraprendere un percorso significa darsi la possibilità di provare e fare ogni volta un passo per volta, non pretendendo di raggiungere subito la meta ma accettando le difficoltà e le inevitabili ricadute. Tante volte anch’io mi sono mi sono detta che era troppo difficile perché la malattia mi faceva pensare al tutto e subito, quindi tanto valeva nemmeno provarci. Soprattutto nei momenti in cui cadevo, non avevo più speranza e mi innervosivo con me stesse dicendomi ‘tanto non guarirò mai’.”
“La vita è la cosa che ha più valore e la voglio abbracciare fino all’ultimo. La vita è meravigliosa e ha tanti colori, non esiste solo nero e bianco. Non esiste la perfezione perché ognuno è bello così com’è con i pregi e difetti. Non sprecate tempo, non rinunciate alla vita, ma vivetela il più intensamente possibile. Ma soprattutto se avete qualche problema fatevi aiutare. Non mi stancherò mai di dirlo.”
“Credo che la vita anche se è a volte è dura e difficile, quando meno te lo aspetti ti regala delle cose belle. Crediamoci che il buio possa finire e la luce prima o poi arriverà. Neanch’io ci credevo che potesse succedere, ma adesso me ne sto rendendo conto.”
È importante avere nel cuore la certezza che dopo il temporale torna SEMPRE il sole e che ogni nuovo giorno è una nuova possibilità di vita! Grazie Giulia per averci dato la tua esperienza, dura ma grazie a Dio a lieto fine!
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