Diario di una donna col cancro, un ritorno al passato

Un’altra pagina del diario prende vita. Una storia di vita come non ne abbiamo mai avute nel nostro blog. Francesca si spoglia di tutto, ci fa entrare nella sua vita, nella sua casa insieme ai suoi cari. Ce li fa conoscere, ci fa affezionare a lei e a loro. Mette sul piatto i potenti sentimenti che può provare una persona che deve affrontare un tumore, per di più in giovane età. Lo fa in maniera vivida, prepotentemente, senza vergogna. Una perla rara in un mondo di banalità.

In questa pagina del suo diario, la quarta, ci fa entrare in un all’apparenza banale picnic in famiglia. Ma quella che doveva essere una pausa per allontanarsi qualche ora dalla malattia, si trasforma in qualcosa che le ricorda che non serve scappare. Ma avete imparato a conoscerla, Francesca è forte…

Se volete recuperare le altre pagine del suo diario eccovi i link:

Pagina 1, Pagina 2, Pagina 3.

Avevo voglia di respirare l’aria del mare, stare in posizione eretta per più di qualche minuto, sentire Freddie (il mio cagnolino) piangere chiedendoci di entrare in acqua ed esser viziata dagli ottimi manicaretti dei miei. Si va! Facciamolo sto picnic. Voglio fare un tuffo nella mia infanzia e restarci accoccolata un pochino. Vorrei raccontarvi che è stato rilassante, vorrei dirvi che mi sono rigenerata, vorrei dirvi che mia sorella è venuta a stare da noi, vorrei dirvi che mia sorella mi ha portata a fare i buchi nuovi alle orecchie, che il gelato ordinato al bar era buonissimo…

Invece vi racconto che la mia lunghissima giornata si è conclusa con un giro in ambulanza, che i buchi nuovi me li han fatti sulle braccia, che mia sorella ha la febbre e mi deve star lontana, che se alle infermiere dici di toccarti piano il braccio perché hai un tumore, diventi una bambolina di porcellana ‘Certo Franci, sta tranquilla’ e ti becchi pure una carezza, e per finire che son stata due ore chiusa in uno stanzino del pronto soccorso con una fame da paura. Già!

Neanche la chemio mi porta via la fame! Trascorrere una giornata carica di imprevisti e pensare alla pasta col sugo di costine fatto da papà. ‘Allora stai bene!’, dice mio padre. Strappo un sorriso ai miei. La tensione inizia a sciogliersi, i lineamenti si ammorbidiscono e lo stato di allerta si abbassa. Scelgo di ridere. Ridiamo ripensando alla turista che mi sventolava l’aria con un coloratissimo ventaglio, al bicchiere con ghiaccio che mamma mi ha buttato in faccia per farmi rinvenire, al gelato ordinato ma non consumato al bar, alla domanda che ho fatto a mamma appena rinvenuta: ‘Dove sono stata?’, alla caduta pirotecnica di papà per venire a prenderci velocemente, all’amica di mamma che vedendomi in barella mi regala il laccetto rosso che fa da protezione buddista, alla corsa in ospedale e ai miei pensieri mentre guardavo attraverso i finestrini “Che bello non avere limiti di velocità perché guidi un’ambulanza”.

Scelgo che questo sarà un altro tragicomico ricordo, sul quale rideremo tutti. Scelgo di ridere nonostante alcuni noiosissimi effetti collaterali post chemio e gli sbalzi del ‘cortisone ti amo, cortisone ti odio’. Scelgo di fermare i pensieri che mi trascinano, la notte, in un vortice di deliri chemioterapici che mi spaventano. Ridiamo perché la paura è finita. Ridiamo tutti quella sera. Io rido più degli altri perché finalmente mi mangio la pasta col sugo alle costine di papà… e rieccomi, accoccolata nella mia infanzia.

Amo stare li.”

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