Oggi voglio raccontare una storia che mi riguarda molto da vicino, una storia che però non ho mai scritto ne raccontato. Parlerò di mio padre, Lucio Vacca, 63 anni, un uomo molto chiuso che non si racconta facilmente e che tanto meno ama parlare della sua malattia. Ma oggi, non so se stremato dal mio chiedere insistente o preso dalla compassione, ha deciso di regalarmi la sua storia. Io da brava “ladra di storie” l’ho presa al volo, non perché non la conoscessi già, ma perché penso che sia una di quelle storie che valga la pena raccontare.
Non è mia abitudine organizzare un articolo con un botta e risposta simile a un opera teatrale, ma visto che mio padre, come vi ho detto, è una persona chiusa, voglio raccontarvi realmente come è andata.
Immaginate un salone molto grande, pareti verdi, un divano spazioso e un tavolo molto grande; sempre nello stesso posto da che ricordi, siede mio padre e al suo fianco ma capotavola io, figlia prediletta, forse anche perché l’unica.
Io: “Papà, dai raccontami la tua storia.”
Papà: “E tu fai le domande.”
Io: (occhi al cielo che lui ‘fortunatamente’ non può vedere) “Allora, quando hai iniziato a perdere la vista?”
Papà: ” Emh allora, in verità io non ho mai visto bene, già da bambino i miei occhi non riuscivano ad adattarsi agli sbalzi di luce e avevo dei momenti nella quale proprio non vedevo. Verso i 14 anni ho dovuto mettere gli occhiali perché ero terribilmente miope, ma è stato intorno ai 24 anni che è successo il fattaccio. Per una retinoschisi sono finito d’urgenza all’ospedale, dove mi hanno operato. Dal giorno a quell’occhio non ho più visto. Poi nel giro di due anni ho perso pure l’altro.”
Entra in scena mia madre, che era appena rientrata da lavoro. Si siede incuriosita al suo solito posto, quello davanti a mio padre, e, stranamente, per qualche minuto rimane in silenzio.
Io: “E come è vivere da non vedente?”
Mamma: “Lucio diglielo che sono io che ti ho portato dall’oculista quando sei stato operato. Perché devi sapere Federica, che tuo padre, come sempre non si faceva seguire bene. A me era venuto in mente di fargli prendere la patente ed è li che il medico si è reso conto che andava operato subito.”
Già mia madre non poteva rimanere in silenzio per molto.
Io: ” Si mamma, ma stai zitta che sto intervistando papà.”
Mamma: “E va beh che c’entra, comunque sto zitta”
Papà: (un po’ ingarbugliato dall’intromissione di mamma) “Beh vivere senza vedere è stato un adattamento, non puoi più fare ciò che ti piace, devi ridimensionare la tua vita, ti senti impotente e terribilmente dipendente dagli altri, non ha più senso uscire perché non puoi…”
Mamma: “E cosa c’entra se non puoi vedere, puoi sentire, toccare, odorare..”
Papà: “Ma và Claudia, cosa ci faccio in una piazza, per esempio, se non vedo, mica mi metto li a odorare. Cosa sono un cane?”
Mamma esibisce la sua faccia con gli occhi a palla, io la guardo versione rimprovero e papà continua.
Papà:”Non ti senti mai capito e sai che, chi non è nella tua situazione, non può capirti. E come se tu pretendessi che capissero te che hai la sclerosi, ti dirò di più, alle persone non interessa proprio capire i problemi degli altri.”
Mia madre torna nuovamente alla carica, stavolta con mezzo arancio in bocca.
Mamma: “Eeee come la vedi nera Lucio (senza sarcasmo, fa continuamente queste gaffe con lui). Pensa a me che sembro la vedova bianca, sempre in giro da sola. E poi io ho: te cieco, la figlia sclerotica e il genero ipovedente, pensa in che situazione mi trovo.”
Io la guardo a bocca aperta e gli faccio segno di stare zitta mentre lei ride sotto i baffi, continuando a spargere l’arancia sul tavolo.
Papà: “Infatti siamo una famiglia problematica. Comunque a me ha salvato la vita il voice box, quell’aggeggio che mi legge i libri. Io, grazie ai mie libri, viaggio in tutto il mondo e nel tempo, quella è la mia vera salvezza.
Mamma (nuovamente):”E io? Pensa come avresti fatto senza di me.”
Papà:”Beh, sicuramente senza di te sarei stato molto più in difficoltà.”
Io:” Mamma ma ti stai zitta. Fammi finire”
Papà: “Comunque la cosa peggiore e non poter vedere le persone, la tua famiglia, non ho visto mia figlia crescere, mia moglie invecchiare, non mi posso vedere allo specchio, non posso vedere il cielo o il mare. Ho solo dei ricordi nella mente, per me sono come fotografie di quando vedevo.”
Io: “Come immagini il futuro?”
Papà: “Sono preoccupato per il futuro, noi stiamo invecchiando, tu sei malata e tuo marito pure. Il lavoro è poco e mi chiedo come farete quando noi non ci saremo più.”
Mamma: “E va beh Lucio, non è la fine del mondo. Se la caveranno come abbiamo fatto noi, d’altronde tua figlia è sveglia e se ne inventa sempre una nuova anche se… ma proprio ipovedente te lo dovevi cercare?”
Io: “MAMMAAAA”
Papà: “CLAUDIA”
Mamma: “E va beh stavo scherzando, Ivan è bravo e ve la caverete alla grande, poi andrà come deve andare giusto?”
Papà” Per forza. Beh, io vado dal voice box”
Ecco, questo è un ritratto della mia “imperfetta famiglia”. Come potete capire, intervistare mio padre non è stato facile, ci riproverò quando mia mamma sarà a lavoro. Per ora posso solo dirvi che per quante difficoltà possiate avere nella vita, l’importante è affrontarle ed andare avanti sempre e comunque.
Essere non vedente per mio padre è stato un dolore immenso, ma nel suo dolore ha permesso a me di crescere senza paura dell’invalidità; questo perché ho visto lui e mia mamma che, in un modo o nell’altro, hanno sempre trovato una soluzione a tutto, e una di quelle soluzioni sono io, croce e delizia della famiglia, nata per aumentare il grado di difficoltà come in un videogioco. Noi siamo cosi, ci piacciono le sfide, perché sappiamo uscirne sempre e comunque vincitori.
È un grande!
Sì, dev’essere un tipo tosto.
Penso sia davvero molto, molto difficile, vivere senza vedere.
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