Oggi a raccontare la sua storia è una giovane donna di nome Stefania Loru, vive a Villacidro, un paese della Sardegna. Questa è la mail che ci ha inviato:
“Avevo 34 anni e un tumore….
Stavo portando mio figlio a giocare al parchetto quando, uscendo da casa, vidi che la cassetta della posta conteneva una busta bianca. Era l’esito dell’ago aspirato…
L’aprii e chiamai immediatamente il mio endocrinologo: ‘Potrebbe essere un carcinoma papillare’ disse ‘vai subito da un bravo chirurgo’. Era luglio. Quell’estate, che per me non era mai iniziata, era già finita.
Famiglia, lavoro… Quali garanzie aveva una giovane appena assunta al mondo nel lavoro, se ha un cancro? Direi quasi nessuna.
Un tumore a 34 anni alla tiroide, un figlio di 5 anni, un marito, i genitori, una sorella, gli amici, tutti tremano come foglie. E allora le scelte sono due: avere paura, o inserire il pilota automatico e pensare che ti debbano togliere un neo sulla superficie della pelle. Ho scelto la seconda.
Finché non lo hanno tolto, non mi sono mai resa conto di essere malata. Come se l’irruenza della mia età, l’attenzione per gli affetti, il gioco costruito per provare meno dolore e meno stupore, avessero assopito la consapevolezza di avere un cancro dentro la carne.
Quando poi ho fatto la iodio terapia, lì mi sono sentita davvero malata. Non potevo stare vicino alle persone, vicino a mio figlio, ero radioattiva, pericolosa per gli altri. Pericolo che, su me stessa, non aveva attecchito fino a quel momento. Erano gli altri il mio pallino, la mia preoccupazione. Quando ho smesso di preoccuparmi per gli altri, quando le promesse e gli impegni erano stati portati a termine, ho avuto tempo per guardarmi allo specchio. Vedevo un mostro, una corporatura dilaniata, debole, stanca, che arrancava. Lì mi ha travolto la malattia, quando ormai ero guarita. Avevo sconfitto una cosa infinitamente più grande di me, eppure mi sentivo piccola, irrisoria, irrisolta. Flaccida con un metabolismo che non si svegliava, che per rimanere semi magra devo muovermi tantissimo e mangiare poco. Come se avessi 70 anni. Vecchia.
Dov’è la mia gioventù?
Non ti tolgono un seno, non devi fare la chemio, tra tutti i tumori è quello migliore da sperare di avere. Ma è ingiusto.
La tiroide è il convertitore della benzina del corpo, e io non l’ho più. Dovrò prendere pastiglie a vita per questo. Non hai più la tiroide e devi fare tutto da sola. Tu devi alzarti dal letto, con tutte le forze che a giorni non hai. Ti devi riabituare a quella che non sei più. Ti devi accettare. Devi accettare senza discutere, non puoi dire cosa preferisci.
Un tumore è una sconfitta alla quale bisogna imparare a reagire. Non abbiamo tutti la stessa sensibilità. Donne con il cancro che si fanno fotografare senza seno, senza capelli. Le vedi felici e tu, persona sana, pensi che forse essere depressa perché hai qualche chilo in più non è un motivo valido. Ma per chi non è sano, per chi ha avuto un cancro, cosa dà forza, cosa solleva? Conosco quei sorrisi e quell’entusiasmo da ‘Io l’ho battuto’, li so sfoggiare anche io. Ma quando il fotografo si allontana, quando gli amici se ne vanno, quando ti guardi allo specchio da sola, dov’è quel sorriso?
Prima ho scritto che si deve accettare, che non si ha scelta. Una scelta c’è, cercare la luce. I sorrisi prendono il posto delle lacrime e, guardandomi allo specchio, massaggiandomi la cicatrice, metto un rossetto nuovo, mi vedo bella… è lì che mi salvo, tutti i giorni.
Ti ricordi per chi hai lottato, per chi non hai mollato, per chi hai assolto promesse che avevano il peso di un fardello gigantesco: gli altri. Gli affetti, quelli più cari. Questa è la spinta, la propulsione.
Ho imparato tanto dalla malattia. Ho imparato che bisogna sempre trovare una morale, un insegnamento. Ho imparato a vedere e ad apprezzare, tutto ciò che è sempre esistito e del quale non mi ero mai accorta.
Negli ultimi anni i casi di tumore alla tiroide sono aumentati in modo esponenziale, ma la mortalità è quasi nulla. Segno, questo, di una buona sanità.
Avevo 34 anni e un tumore. Ora ne ho quasi 40 e non lo ho più.
L’ amore che si porta nel cuore per il dono della vita, per il mondo, per le persone, è la sola molla che mette in condizione di reagire, o meglio di AGIRE, nel modo più sano per se stessi. Ama, prima te stesso, così da poter amare anche gli altri.
Perché l’amore è la cura per tutti i mali”.
Coraggio Stefania! La malattia ci dilania, ci azzoppa, ci rende a volte dei pesi per chi ci sta vicino, non più autonomi. Con la testa vorremmo fare, smontare il mondo ma poi dobbiamo fare i conti con le poche forze che ci permettono giusto di scendere dal letto per stare magari in poltrona…Eppure la malattia ci dà una marcia in più. Ci fa apprezzare le piccole cose della vita che prima sembravano scontate. Fa emergere da noi stesse delle forze enormi che non sapevamo di avere. Scopriamo di essere capaci di cose prima impensabili, come sorridere nonostante la malattia e addirittura incoraggiare chi ci sta vicino! Essere positivi e vedere sempre e comunque il bicchiere mezzo pieno. Tutto questo per un figlio, per la propria famiglia, per le persone che amiamo di più.
Allora Coraggio! Sappi che non sei sola in questa battaglia e che dopo la pioggia torna sempre il sole!!!
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