Famiglia. Una parola attualmente al centro di un dibattito. Una parola potente, capace di far barcollare chiunque. Un concetto fondamentale per la razza umana e non solo, uno dei concetti per cui vale davvero la pena di lottare. Una necessità, il senso della vita, o semplicemente la vita. Francesca in questa nuova pagina del suo diario, ci racconta una parte della sua famiglia. Una parte che lei definisce “sgangherata”, una parte che riesce a farle affrontare questa battaglia col sorriso, una parte essenziale di se stessa. E più mi addentravo in questa lettera, più risuonava nella mia testa la frase, a mio avviso più bella, della serie Games of Thrones: “Quando la neve cade e i venti gelidi soffiano, il lupo solitario perisce, ma il branco sopravvive”. Buona lettura.
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“Mi sono svegliata immaginandoci in un campeggio in Dalmazia, una piazzola sul mare. Si sentono solo le onde e le cicale. Preparo il caffè per te, la tisana alla malva per me e le fette biscottate con Nutella e marmellata. Sono le 5.30 del mattino, un filo di luce illumina il nostro tavolino, nel mio immaginario non ho dolori o nausee, svegliati amore e abbandonati alla natura… respiro i profumi e i rumori… che figata. Invece?
Ho fame e in bocca solo gusti plastificati, mi fanno male braccio e seno, devo fare per l’ennesima volta la pipì e prendere il cortisone. Sono davvero le 5.30 e non sento le cicale, sento i gabbiani, le auto e il mio moroso russare. Non mi azzardo a svegliare Raffaele. Prendo il cellulare, due messaggi li trovo sempre, mamma e zia: ‘Buongiorno come stai?’. Sorelle. Non so ancora come sto, mi alzo e vado in cucina e parte il mio rituale della colazione. È tutto nuovo, il tempo ha un valore diverso, il cibo ha un senso diverso, ogni farmaco che prendo ha un peso diverso. Ci metto almeno 15-20 minuti a mangiare un biscotto alla farina d’avena o mezza fetta biscottata integrale, un bicchiere di succo e qualche pezzo di frutta. Poi tocca buttar giù il cortisone: ti prego non mi far svenire stavolta, toglimi i dolori, ti voglio bene lo sai? Un rituale. Parlo anche col cardo mariano: vai sul fegato, sgonfialo e coccolalo, fa il bravo. Idem col protettore gastrico: proteggi le mie mucose come solo tu sai fare, grazie.
Raffaele porta Davide a scuola, oppure lo fa Giulia, io preparo la merenda per il mio eroe con santa calma mentre loro ciondolano o sbattono tra una stanza e l’altra… caspita! Ma sono loro veloci o io più lenta? Guardo il soggiorno. C’è stata una guerra stanotte? Niente cicale o onde del mare… calzini, infradito, creme per le rughe, maschere di bellezza, acqua termale, sigarette, riviste, slime di ogni tipo e tante medicine cosparse sul tavolo. C’è una parte di tutti noi su questo tavolo. Ah si! La merenda. Panino con Nutella o marmellata? Che schifo l’odore della Nutella, se non sapessi di esser sotto cortisone e chemio avrei comprato almeno 5 test di gravidanza.
Ci tengo a farvi fare un tour chemioterapico del gusto. Bene, avvicinatevi ad un palo della luce e baciatelo… con la lingua! Ecco il sapore che ha l’acqua per me. I dolci sono tutti troppo dolci e il cibo non è mai abbastanza salato. Poi arriva la fame nervosa, quella dove masticheresti anche le ossa che dai al tuo cane. E infine la stanchezza… il mio unico obiettivo nei giorni post chemio è dormire. Di giorno, perché di notte il cortisone mi tiene sveglia e in quei momenti viaggio con la mente; vado nelle spiagge esotiche in costume ed infradito, mentre assaporo il pesce sulla spiaggia.
Ascolto il mio corpo sempre, adesso. Non mangio bene perché seguo qualche dieta bio/vegan, mangio bene perché è il mio corpo a chiedermelo. Si alla verdura bollita, no cioccolato. Mangio un sacco di frutta, perché almeno la frutta sa di frutta. Mia sorella ha portato la sua centrifuga a casa nostra. Addio ai mojito e benvenuti bibitoni polivitaminici! Si alle centrifughe, no all’alcol! Vi dirò: son pure buoni.
Torniamo alla mia mattinata a rilento. I primi giorni post terapia li passo dai miei, visto che abbiamo assodato che il lunedì a ora di pranzo svengo. Mi faccio coccolare e viziare: voglio questo, no quello no, portami questo, fammi quell’altro… senza vergogna alcuna. Dai! Sono “solo” sette giorni, poi mi riprendo! Mi riprendo la mia autonomia! Voglio fare shopping, guidare lo scooter e giocare con mio figlio. Voglio la normalità, nessuno sconto perché ho il cancro. Voglio che vi arrabbiate con me come prima perché sono acida e cinica, voglio che mi sproniate ad alzarmi quando non ne ho voglia, voglio che mi diciate “cretina” quando sbaglio. Guardo tutta la spazzatura che passa in TV. Guardo Grey’s Anatomy e i tumori inoperabili, guardo i documentari e altre cose imbarazzanti che non confesserò mai.
Siete in troppi. Spesso mi vedo con le amiche che mi vengono a trovare, o se sto bene ci vediamo finalmente fuori casa. Altro assaggio di normalità. Più tardi è il momento del reiki, del massaggio, il momento in cui mia mamma nel giro di tre quarti d’ora mi chiede 6 volte come sto e se va meglio. Non posso rassicurarla sempre, anche perché mentirei. I dolori ci sono, qualche volta va meglio grazie a lei, altre grazie al Brufen. Ed ecco arrivare il mio Davidino! Sempre gioioso e con qualcosa da raccontarmi, o da chiedere. Davidino che mi abbraccia e bacia, che fa fatica a staccarsi da me perché: ‘Quando non ci sei sono preoccupato per te mammina!’. Il mio bimbo sensibile che mi chiede di fare la crostata per Raffaele: ‘La faccio io mamma perché tu sei malata, hai male qui qui e qui, riposati’. Fossi matta a lasciarti la cucina! Facciamola insieme. Avevamo davvero le migliori intenzioni, ma sta crostata non la mangeremo mai perché l’impasto non ci è proprio venuto (mi dico comunque brava, perché sentire quegli odori dolciastri con le nausee non è cosa da poco). Allora compriamo il gelato e siamo contenti comunque. Davide gioca con la Play Station, io mi dedico alle mie piantine grasse e non. Mi rilassa moltissimo e mi rende orgogliosa vedere i loro rarissimi fiori. Oppure leggo. Senza volerlo mi è capitato tra le mani il libro di una donna malata di tumore e tradita. Starò più attenta nella scelta la prossima volta!
A cena ci siamo tutti e quattro (non vi siete dimenticati che mia sorella è venuta da noi, vero?), guardo i miei tre ‘coinquilini’ e mi sorride il cuore. In modo diverso amo ognuno di loro. Che famiglia sgangherata, a tavola ci raccontiamo di tutto: delle sfighe, delle arrabbiature, dei dubbi e in tutto questo gli insulti che non mancano mai. Si passa dai problemi di cuore di mia sorella, alle preoccupazioni di Raffaele per il nuovo lavoro, a quale sarà il prossimo slime da comprare al toto pagella di Davidino e al toto esami del sangue di Fra. Ho comprato dei simpatici bicchieri per le nostre centrifughe, questo è un altro nuovo rituale che adoro. Nel farle Giulia e Raffaele ci mettono amore, sorrisi e parolacce (dovreste vedere in che stato è la cucina quando violentano il melograno). Poi usciamo in terrazzo, due candele, i nostri bibitoni, tante risate e complicità. Amo questi momenti, li custodisco con affetto e gelosia. Ridiamo tantissimo quando siamo tutti insieme, per me queste risate sono boccate d’aria e le respiro a pieni polmoni. Scatto una foto dentro di me, per ricordare il momento… ma un velo di tristezza mi attraversa la mente: ‘Quante risate farò ancora con loro?’. Scaccio via questo ‘pensiero rovina foto’.
Vivi ora.
Si va a dormire. Arrivano le mie coccole e le dolci parole per farmi addormentare serena… spero di ritrovarti in quella spiaggia esotica, va bene anche la Dalmazia, basta che siamo in infradito, senza dolori o gusti plastificati e che addentiamo il pesce alla griglia! Ci vediamo li amore mio…”
Grazie, donna speciale!
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