Oggi la nostra intervista tratta un argomento tabù. Il protagonista si chiama Federico Villa ed è affetto da una patologia che si chiama Atassia di Friedreich. Ma in questo articolo non parleremo di questo, bensì di un argomento molto più scottante.
Ma andiamo per gradi, iniziamo con il presentare Federico e spiegare un po’ cosa fa nella vita.
“C’è chi dice che mi gratto, in realtà a me piace definirmi un social freelancer, ovvero un lavoratore occasionale che lavora nel campo del sociale”. Federico parte in quarta, e continua spiegandoci il suo lavoro: “E’ una mansione puramente inventata, ma rende l’idea. Attraverso i miei viaggi, i temi trattati e la mia curiosità con cui vedo il mondo, cerco di restituire agli altri la mia personale visione sperando che possa essere di aiuto anche ad altre persone disabili o non. Soffro di Atassia di Friedreich, una malattia degenerativa, questo vuole dire che ogni anno peggioro e con me peggiorano i miei spostamenti. Una volta mi era più facile, adesso mi rimane la voglia di viaggiare, ma ogni viaggio ho sempre più paura degli ostacoli. La mia curiosità è la mia molla che mi spinge ad informarmi sugli ausili, ovvero quelli che mi permettono di tornare più o meno autonomamente sulla mia sedia a rotelle e andare avanti. Non so per quanto resisterò, per ora ci provo. Ho sempre avuto un carattere indipendente anche grazie alla mia famiglia, cosa che credo sia una delle cose più importanti nella crescita di un ragazzo con una disabilità. Avere una famiglia che ti sproni e ti insegni a mettersi in gioco è una delle cose più importanti se non la più importante”.
Federico è un ragazzo allegro, senza troppi peli sulla lingua, indipendente e che vive la sua disabilità nella maniera più serena possibile, quindi ci permettiamo anche di addentrarci insieme a lui su discorsi un po’ più scomodi. Ci immergiamo quindi in quello che è il discorso tabù per eccellenza nell’ambiente dell’invalidità: il SESSO. Gli chiedo, perciò, se ricorda quando ha affrontato questo argomento con i suoi genitori.
“Non credo proprio di avere fatto questa domanda da manuale ai miei genitori. In quegli anni, gli anni delle elementari, si scopriva a scuola con gli amici. Poi qualche domandina sicuramente usciva anche in casa, ma onestamente non mi ricordo. Gli anni della pubertà e della preadolescenza sono quelli in cui, generalmente, ragazzi e ragazze scoprono il proprio corpo, esplorano le possibilità di darsi piacere e si sentono progressivamente attratti dall’altro sesso. Io onestamente non sono mai uscito da quel periodo. Adoro l’altro sesso, mi innamoro 4 volte al giorno in media. Se legge questa intervista la mia ragazza mi taglia la gola. Quando ero ragazzo assomigliavo di più a un normodotato, avendo una patologia degenerativa comunque sia ero molto più impacciato di ora, timido e insicuro di me stesso anche perché camminavo come un ubriaco per via della patologia. Beh, insomma il mio ego ero sotto le suole delle scarpe e non avevo niente di cui vantarmi. Ovviamente erroneamente! Adesso invece le cose sono cambiate, soprattutto quando ho iniziato a fare sport, paraciclismo tanti anni fa e poi con i viaggi. Le paure personali sono sempre tante però se valuto me stesso adesso, so benissimo che riesco a fare cose che non fanno tanti altri normodotati perché gli mancano le molle. Non è solo una questione di soldi, che ti danno la possibilità senza dubbio di fare molte cose, ma è una questione di carattere soprattutto. Anche con l’altro sesso avere autoironia e una buona dose di sicurezza personale cambia tutto. Poi lo sport mi ha salvato in quegli anni. Invece quando mi si paragona ad altri ragazzi disabili, mi sento veramente fuori luogo, non mi sento un esempio, anzi, sono gli altri ragazzi che stringendo denti e affrontando la vita di tutti i giorni nel silenzio più assordante mi danno la forza di dire: “Beh ci provo anch’io ad andare avanti”. Sono poche le persone che si rendono conto di quanto valgono queste persone. Così anche l’approccio verso l’altro sesso è molto discutibile”.
Le risposte non ci bastano e lui è abbastanza smaliziato da reggere senza alcuna timidezza questo discorso, quindi chiedo come sia ad oggi il suo rapporto con l’altro sesso.
“Sono bravo… Scherzo, vorrei esserlo molto di più. Mah è una domanda un po’ vaga, senza domande mirate non saprei come rispondere”.
Benissimo, ci dà la carta per parlare delle famose sex worker e per chiedergli cosa sa di questa figura tenuta un po’ nell’ombra.
“Non sono mai stato con una lovegiver, però ne conosco alcune e ho consigliato io personalmente a dei miei amici di provare a mettersi in contatto con loro. E così hanno fatto e hanno riportato una magnifica esperienza di vita. Credo che sia una importantissima figura sociale, che va ben al di là di qualsiasi stupido pregiudizio ignorante di questa figura e della sua mansione. In primis è un lavoro. Per andare avanti invece il tema è lunghissimo, io lo vedo più che altro come un rapporto terapeutico. Perché noi non dovremmo sperimentare le gioie del sesso se non facciamo male a nessuno perché in altro modo non possiamo?
Non mi sono mai informato sui prezzi, ma presumo non siano bassi, perché stai andando da un terapista preparato, da una persona che ha investito nella sua vita tempo dedizione e amore in questo lavoro. Quindi come si va da un fisiatra o da un osteopata”.
Questo argomento non è facile da trattare, soprattutto con una persona che poi non ti chieda l’anonimato, quindi continuo con le mie domande e gli chiedo se quelle che lui chiama “Assistenti sessuali”, siano delle semplici prostitute o abbiamo qualcosa in più.
“No no è una figura vera, si chiamano appunto assistenti sessuali. Ormai è un progetto avviato da un paio di anni da Max Ulivieri in Italia. In Olanda esistono da quando esistono le prostitute. In Italia non sono ancora state legalizzate”.
Mi chiedo allora come sia possibile che, un italiano che voglia fare questa esperienza, riesca a trovare il modo e Federico mi spiega il meccanismo.
“C’è un sito internet e si contattano i vari centri di formazione. Conosco persone che hanno usufruito di questi servizi e che si sono trovate benissimo”.
Per me è ancora un mondo del tutto nascosto, ma informandomi un po’ meglio e facendo delle ricerche ho notato che non è così inusuale come credevo. Il progetto lovegiver di Max Ulivieri ha anche un suo sito internet dove si possono trovare tante informazioni e spiegazioni, quindi ho deciso di documentarmi.
Il sito lovegiver spiega cosi:
“L’assistente sessuale è un operatore professionale (uomo o donna) con orientamento bisessuale, eterosessuale o omosessuale che deve avere delle caratteristiche psicofisiche e sessuali “sane” (importanza di una selezione accurata degli aspiranti assistenti sessuali).
Attraverso la sua professionalità supporta le persone diversamente abili a sperimentare l’erotismo e la sessualità. Questo operatore, formato da un punto di vista teorico e psicocorporeo sui temi della sessualità, permette di aiutare le persone con disabilità fisico-motoria e/o psichico/cognitiva a vivere un’esperienza erotica, sensuale e/o sessuale. Gli incontri, infatti, si orientano in un continuum che va dal semplice massaggio o contatto fisico, al corpo a corpo, sperimentando il contatto e l’esperienza sensoriale, dando suggerimenti fondamentali sull’attività autoerotica, fino a stimolare e a fare sperimentare il piacere sessuale dell’esperienza orgasmica.
L’operatore definito del “benessere sessuale” ha dunque una preparazione adeguata e qualificante e non concentrerà esclusivamente l’attenzione sul semplice processo “meccanico” della sessualità. Promuoverà attentamente anche l’educazione sessuo-affettiva, indirizzando al meglio le “energie” intrappolate all’interno del corpo della persona con disabilità.
Uno degli obiettivi è abbattere lo stereotipo che continua a essere ingombrante e che vede le persone con difficoltà e disabilità assoggettate all’ “asessualità”, o comunque non idonee a vivere e sperimentare la sessualità”.
È la prima volta che noi di Vitae ci addentriamo nei meandri di questo argomento, che sicuramente però riprenderemo anche per capirne qualcosina in più. Per ora ringraziamo Federico Villa per aver condiviso con noi i suoi pensieri e per non aver avuto nessun filtro nel rispondere alle nostre domande a momenti un po’ scomode.
L’ha ribloggato su MetropoliZ blog.
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