Diario di una mamma sclerotica: La terapia intensiva

Continua proprio nel giorno della Festa della mamma il racconto della mia storia , di come io sono diventata mamma con la sclerosi multipla e con un bimbo che appena nato è stato portato in terapia intensiva lontano da me , ma andiamo avanti non vi anticipo nulla….

Per chi si fosse perso gli articoli precedenti vi consiglio di leggerli prima per riuscire a capirci qualcosa:

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….Mio figlio intubato? Ma allora sta peggiorando ogni giorno di più.

Non riesco a smettere di pensare che potrebbe morire da un momento all’altro, il telefono che squilla ormai diventa una tortura, potrebbe sempre essere la terapia intensiva che mi dà una pessima notizia.

Questa volta non riesco a trattenere le lacrime e finalmente mi faccio un bel pianto, con la testa su un’ostetrica mia amica non riesco a calmarmi e penso che tutto sta andando a puttane.

Il mondo che in otto mesi mi sono costruita si sta sgretolando e io non posso farci nulla, non dipende da me, mi sento impotente come mai prima, tutto il coraggio della donna che sfida la malattia e il mondo và via in un secondo e mi sento vulnerabile, mi sembra tutto un’incubo.

Penso e ripenso a quel bambino che mi hanno poggiato vicino alla nascita e che mi ha succhiato il mento, penso che potrei non vederlo mai più, poi penso a quando era in pancia e ci parlavo , penso che il mio gamberone è lontano da me e sta male.

Mi assale un vuoto che solo le mamme che hanno vissuto questa esperienza possono capire, decido di alzarmi, decido di essere forte almeno per ora.

Mangio, parlo con la mia amica, penso anche un po’ a lei, oggi la vedo stanca , sarà che và a lavoro e viene direttamente qui, sono giorni che tira avanti cosi e non me lo fa pesare, mi chiedo come sarebbe avere una sorella o un fratello, poi la guardo smanettare il suo telefono, assorta per un attimo nei suoi pensieri, ma solo per un attimo, poi si gira, mi guarda e sò in quel momento che avere una sorella è esattamente cosi, le sorrido , ora mi sento un po’ meno sola.

Ivan e mamma tornano dal policlinico, mio marito è diverso ha una faccia strana sembra terrorizzato, più volte gli chiedo cosa ha ma mi risponde sempre nulla.

All’ennesima insistenza mia mi dice “Un padre non dovrebbe mai vedere un figlio cosi.”, lo guardo non so cosa dirgli so solo che io no voglio vederlo cosi.

Arriva come sempre a notte, il mio momento di solitudine, il momento per pensare e questa volta per piangere.

Domani mi vogliono dimettere, è presto ma vogliono che io vada dal mio bambino ma nel buio della mia stanza mi viene l’ansia, io non voglio vederlo cosi , e se poi mi affeziono di più e lui muore? No, non voglio farmi male cosi è una pazzia, non voglio essere dimessa voglio stare qua al sicuro.

Inizio a messaggiare con mio marito sconvolto dalla giornata, ore di messaggi per poi convincermi a vedere mio figlio, a vederlo qualsiasi cosa poi possa succedere.

E’ arrivata la mattina, è arrivato il momento di uscire dall’ospedale e di andare dal mio piccolo Christian.

Il viaggio in macchina è interminabile, arrivati in ospedale mio marito sa come muoversi io non so nulla.

La terapia intensiva è un reparto blindato, deve suonare il citofono , dire chi sei e loro decidono se puoi entrare.

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Mi fanno mettere un camice , i copriscarpe , la cuffia e una mascherina, sembro pronta per entrare in sala operatoria.

Mio marito spinge la mia sedia a rotella davanti a un’incubatrice, dentro pieno di fili e intubato, c’è un bimbo minuscolo con i capelli biondo-rosso, il mio gamberone.

E’ sedato perché ha il drenaggio e l’intubazione, metto la mano dentro ad una finestra dell’incubatrice per poterlo toccare, gli tocco la testolina e lui sorride subito, mi vengono le lacrime ma ho promesso di essere positiva quindi mando giù tutto e continuo a toccarlo.

Becco un medico e gli chiedo le condizioni del bambino, sono tutti cosi evasivi, gli chiedo se mio figlio è in pericolo di vita , lui mi guarda ma non mi dà una risposta, ma io ho capito tutto.

Continuo a toccarlo e cerco di godermi ogni momento perché potrebbe essere veramente l’ultimo.

A un certo punto mi guardo intorno, la stanza è piena di tante altre incubatrici con dentro dei bambini e i loro genitori hanno la nostra stessa faccia.

Penso a quanto sia triste questo posto ma allo stesso tempo a quanto amore ci sia qua dentro.

Mi ruba l’attenzione una donna minuta seduta con il marito davanti a un’incubatrice, ha la faccia stanca, stremata e triste, solo dopo però saprò la sua storia, per ora la guardo le sorrido e lei ricambia.

Rimango qualche ora con il mio bimbo, potendolo solo toccare da una finestrella, ma ora è il momento di andare, lo tocco lo saluto pensando che potrebbe essere l’ultima volta.

Esco da quel posto con la testa piena di pensieri, non lo ho mai preso in braccio, penso , e chissà se mai lo prenderò.

Torno a casa, entro e mi butto nel letto, mi guardo attorno mi tocco la pancia e mi dispero, lui non c’è, sono a casa senza di lui.

Nessuna mamma dovrebbe tornare a casa dopo il parto senza il suo bambino, parte un pianto disperato, inconsolabile, chissà se tornerà mai a casa con me.

Ma va beh domani è un altro giorno , domani andrò nuovamente da lui e spero che tutto vada bene….

To be continued……

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